17.6.14

Anno Zero (ovvero l'esame di terza media che fa da spaccavita)

Torno sulla base del pianeta Royale.
Sfoglio il libro di musica. Pagine che frusciano.
Cerco un brano che abbia a che fare con la seconda guerra mondiale. Ho l'esame di terza media tra una settimana, e devo completare il percorso interdisciplinare (è il 1995, ancora non la chiamiamo “tesina”). Ho scelto quel momento storico perché nella mia puberale ingenuità è come un film drammatico, di quelli con il lieto fine. Una storia piena di prepotenti e di eroi che alla fine li prendono a calci nel culo. Ci ho messo la geografia, la storia, le scienze, è stato facile.
Troppo facile.

Non lo so ancora, che non c'è NULLA di veramente facile.

“Mamma”.
“Dimmi”.
“La conosci questa canzone... 'Auschwitz'?”
“Certo. Ad Auschwitz c'era la neve... perché me lo chiedi?”
“Perché sul libro c'è la partitura, e il testo. All'esame porto questa!”
“È una bella canzone”.

Sincronizzo tutto sopra il ritmo in levare.
Imparo il testo a memoria.
All'esame dovrò recitare la canzone come una poesia. Come alle elementari, come OhValentinovestitodinuovo o eifusiccomeimmobile. Ma questa è una canzone moderna, parla di una storia recente, che racconta anche nonno. Mica come il 5 maggio.

Teen-teenager, rock-rockstar
L'esame di terza media non ci spaventa, noi fessi. Siamo invincibili, noi fessi. Che cavolo, in questi tre anni ho sempre ottenuto il massimo risultato con nessuna fatica, i pomeriggi li ho passati a scarabocchiare fumetti su vecchi quadernoni. I compiti li copiavo alla prima ora, da quelli più bravi. Per le interrogazioni leggevo i capitoli due ore prima, e andava sempre liscia.

“Se studi così, tra due mesi non ti ricorderai più nulla”.
Saggezza di madre, quanto aveva ragione.
Dal punto di vista scolastico, comunque, sono stati tre anni semplici.
Non lo so ancora, che non c'è NULLA di veramente facile.
Ma la scuola non ha dato problemi, no. Quelli me li ha dati la timidezza. La difficoltà tremenda a spiccicare parola con quelli che non conosco.
I problemi me li hanno dati gli orari di coprifuoco, che mi costringevano a tornare a casa sempre prima degli altri amici.
I veri problemi me li ha dati l'inclinazione all'innamoramento facile, l'attrazione che sceglieva a cazzo di cane due volte su tre, gli struggimenti, le storie terminate, quelle mai iniziate.

Sì lo so, sono i problemi più banali del mondo. Ma sono i problemi più gravi del mondo, no?

E questa sfida non è ancora finita
Il giorno dell'esame qualcuno, tra gli amici, è teso. Qualcuno ha paura di essere bullato, bocciato, kaputt, estate in casa a schivare l'incazzo dei genitori. Perché nel 1995 i genitori hanno ancora l'insana abitudine di cercare le cause della bocciature nelle mancanze dei figli. Sono pochi quelli che scaricano le responsabilità nei disegni criminali dei professori, quei satanici intriganti.
“E se mi bocciano?” mi chiedono.
“Ma va', che non ti bocciano, stai tranquilla”, rispondo. Io faccio da camomilla, tranquillizzo gli altri, gli do coraggio.
Io non ho paura. Se non promuovono me dovranno bocciare mezza scuola, dopotutto.

Ma non ho calcolato tutte le variabili. Non so ancora che qualcosa può andare male comunque.
Vai col refrain: non lo so ancora, che non c'è NULLA di veramente facile.

Il mio turno sarà a metà mattina: sono il companatico tra l'esame di altri amici.

In un quarto d'ora gli altri se la sbrigano. Tutto come nelle attese, al massimo una domanda pertinente agli argomenti scelti, nessuna sorpresa.

Ora tocca a me.


All'esame possono assistere solo due compagni di classe, che fungono da testimoni. Io scelgo lui e lei. I miei migliori amici, quelli che continuerò a sentire anche in seguito, quelli che avrei scelto come fratelli o cugini, se si potessero scegliere i fratelli e i cugini.
Hanno avuto anche una breve storia d'amore, due anni prima. Che roba strana, a pensarci oggi, perversa quasi: i fratelli non dovrebbero amoreggiare, la società umana non prevede l'incesto.
“Buona fortuna”.
“Non si dice buona fortuna, porta sfiga”.
“Vaffanculo, che ti devo dire?”
“In culo alla balena”.
“Uau... in culo alla balena!”

Casino Royale missione speciale, pronti a decollare.
Mi siedo davanti alla commissione. Il ricordo mi difetta un po', ma sono sicuro che che la professoressa d'italiano ha sorriso per darmi coraggio. Alle mie spalle siedono lui e lei, tifano per me a voce bassa.

Comincio a parlare, ma.

Ma.

Ma sono timido, non ho nessuna sicurezza nei miei mezzi, davanti agli sconosciuti mi blocco mi trema la voce il fiato si spezza e il presidente di commissione è uno sconosciuto, lo vedo ora per la prima volta, capelli bianchi, avrà cinquanta, sessant'anni, boh, per un quattordicenne è difficile datare gli adulti, senza carbonio14.

Parlo, parlo, parlo, parlo. Parlo di Hitler, di Mussolini, della Resistenza, della Liberazione.
Cito anche 'Auschwitz', di questo Guccini di cui non ho mai sentito mezza canzone.
Capelli bianchi mi guarda dritto negli occhi. Il presidente della commissione, proprio lui.
“Secondo te è stata giusta la lotta degli italiani contro gli italiani per la Liberazione dal Fascismo?”
Rispondo con la sicumera di un professor Sartori coi brufoli. “Certo, se ha permesso di deporre Mussolini”.
“Ah. Quindi per te è giusto che il fratello arrivi a uccidere il fratello, la giustificazione della violenza” dice, 'sto Torquemada da scuola secondaria.



L'equipaggio è teso e dico che ha ragione, prova tu a suonare in questa situazione.
Ma cazzo, penso.
Cazzocazzocazzo, che gli dico? Io sono per la non violenza... Gandhi, do you know?
Sto ancora cercando le parole per la risposta quando interviene la professoressa d'inglese. Non ricordo le parole precise, ma dice qualcosa sulle violenze del fascismo, su soprusi e purghe e autoritarismo. Sulla reazione alla brutalità del potere.

Capelli bianchi emette come un ringhio sommesso. Ribatte punto su punto, alza la voce. Il clima si arroventa, gli altri professori assistono senza fiatare.

Ma cazzo, ripenso. Cosa sta succedendo?

Non ho abbastanza coscienza politica, sennò capirei subito di trovarmi in una specie di disputa tra Galeazzo Ciano e Nilde Iotti.

Mi volto verso il cantuccio dove lui e lei siedono affiancati ad assistere alla scena. Leggo l'incredulità sui loro volti, il terrore che qualcosa del genere capiti anche durante il loro esame, la solidarietà da fratello e sorella che cercano di trasmettermi per via oculare.

Tutto può scoppiare da un momento all'altro
I minuti passano, sono dentro da mezz'ora e da almeno un quarto d'ora non parlo io. Nilde e Galeazzo sono fuori dai gangheri. Una difende la democrazia conquistata, l'altro sputa fiele sui libri di testo dalla parte dei vincitori.

Lui parla degli omicidi compiuti dai partigiani, forse di Claretta Petacci. Lei parla di olio di ricino, di squadracce. Forse di Giacomo Matteotti. Lo scontro è aspro.



Io ormai non li ascolto più, sono perso in una realtà alternativa. Non sta succedendo niente, in questo momento, a me. Oggi in paese c'è festa, penso. Dopo mi faccio una passeggiata, penso.
Penso anche a una canzone che ho letto sulla 'Storia d'Italia a fumetti' di Enzo Biagi “Canto il delitto di  quei galeotti/ che vollero trucidare il deputato Giacomo Matteotti / erano tanti: Viola Rossi e Dumin/ e il capo della banda, Benito Mussolin”.
Alzati che si sta alzando la canzone popolare, penso.

Discutono ancora ad alta voce, poi Capelli bianchi si volta verso di me.
“Chiediamo a lui, qual è il suo parere in merito”.

May day may day ho un'emergenza, Pardo, relax!

“Lui” sono io, ennedierre. Non so nemmeno cosa mi abbiano chiesto, su quale fondamentale principio etico debba dire la mia.

Non ci siamo capiti, Capelli bianchi, io non sono uno da sangue freddo. Io sono uno di quelli che piange, amigo. C'ho le lacrime in tasca, come si dice. È una caratteristica che fa girare le palle a mio padre, che fa finta di nulla ma è fatto così anche lui. Io ci convivo, devo avere una sinapsi particolare che instrada le emozioni forti direttamente nel canale lacrimale.
È già un miracolo che abbia resistito fino a quel momento senza trasformarmi in fontanone, caro il mio Galeazzo. Figurati se riesco a riflettere e darti una risposta!

Resisto ancora, però. No tears. Rispondo buttando lì due o tre parole, la voce incrinata è una specchiera che va in mille pezzi.

Galeazzo e Nilde si fermano. Mi guardano.
Mi vedono per la prima volta nell'ultima mezzora.

Ehi, fermate 'Oggi in Parlamento'... qua davanti c'è un ragazzino di quattordici anni. Non c'è Pajetta non c'è Almirante. Non c'è Fidel Castro. Non c'è Francisco Franco.
Solo un quattordicenne con gli occhi in brodo e la voce segata dai singhiozzi trattenuti.



No suoni pirata nell'impero, no... tutto torna fermo all'anno zero
Un professore tossisce, un altro distoglie lo sguardo. Tutti assieme mi congedano. Dicono che basta così.

Dicono che è andato tutto bene.
Basta.
Così.
Tutto.
Bene.
Sississì.

Sono passati quarantacinque minuti da quando sono entrato nell'aula. Esco e tutti vogliono sapere cos'è successo, perché ci ho messo tanto, cosa possono avermi chiesto e cosa cavolo han
Scappo. Vado in bagno. Metto la testa sotto un rubinetto, esplodo lacrime come pallottole di un mitra. Lei e lui mi seguono. Non sanno cosa dire. Mi abbracciano.
Un abbraccio da fratello, un abbraccio da sorella.


Ora passo e chiudo e ripiglio il volo. Sono il Pau, comandante solo




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colonna sonora: ANNO ZERO - CASINO ROYALE (diritti dei CR)