16.10.12

Ero scemo anche da piccolo

Okay, è arrivato il momento di uno di quei post che, nei blog degli altri, salto a pié pari.
Un tediosissimo momento nostalgia.
Oh, fate quel che volete, io vi ho avvisato.

Dunque. Ieri sera ho cenato con mio zio.
Uno zio importante per la mia formazione, perché è stato lui a regalarmi il primo albo di supereroi (che poi, in realtà, mai m'hanno preso) e sempre lui mi consegnò alcune preziosissime fotocopie riguardanti fabula, intreccio e amenità di questo tipo, che mi parevano nascondere il segreto della scrittura e che ancora conservo.

Ma torniamo alla cena di ieri (ciao zio!).
Mentre si massaggiava la gamba malandata (forza zio!) mi ha raccontato che, nel rimettere a posto vecchi scartafacci, ha ritrovato un vecchio albetto scritto, disegnato e pinzato da me. Conteneva un fumetto di (parole sue) "indiani e cowboy", e questo mi ha fatto sorridere, dato che il western è il mio genere preferito da sempre (sarei dovuto nascere negli anni '50) ma non scrivo nulla di western da almeno 15 anni.

A sentire lui quell'albetto risale alla mia seconda elementare. Può essere, dato che ho iniziato a sporcare fogli da molto prima.


Questo qua sopra, che sono andato a scovare un quarto d'ora fa in soffitta, è del 1990. Ma, leggendo sulla cover, ho dedotto che il personaggio era nato almeno un anno prima.

Ed è perlomeno il secondo personaggio da me creato di cui ho memoria. Come potete vedere, facevo tutto io, dai testi alla supervisione. Non mi facevo la carta in casa perché non avevamo betulle sul balcone.
In pratica, nel 1990 ero già un seguace attivo del DO IT YOURSELF..
Disegnavo senza sceneggiatura, una pagina via l'altra, poi pinzavo assieme i fogli, schiaffavo sopra una copertina colorata con i pastelli a cera e ammiravo soddisfatto quel patchwork, un po' Sergio Bonelli un po' Muciaccia di Art Attack.

Torniamo a ieri (e due).
Mentre mio zio parlava, io mi facevo delle domande. Domande importanti, eh, mica cotiche. Quindi state attenti che ora vi dico quali sono.

Eccole. Anzi, eccola... era solo una.
Cosa spinge un bambino più o meno sano di mente, con un QI (spero) normale, una famiglia esemplare e un fratello minore da schiavizzare, a usare taaaaaante delle sue ore per inventare delle storie su carta?
Sì, vi sento, fottuti cinici, non urlate. "I problemi di socializzazione" è certamente un'ottima prima risposta. Ma non è del tutto vera: la mia spiccata sensibilità e il mio gretto mat ehm, e la mia atavica timidezza non mi hanno mai impedito di avere una vita sociale perlomeno passabile.
Mai sfavillante, manco per niente rutilante, ma passabile... dài, sì.

E questo è un bene, perché se non avessi vissuto non saprei proprio di cosa scrivere.

Ma dicevo.C'è una seconda risposta, e credo sia meno cinica, più idealistica, una di quelle risposte che Cruciani alla Zanzara ridicolizzerebbe in nove secondi netti.
Per dire, più veloce di Bolt.
È una spiegazione che parte da quel granellino di antimateria che religioni e filosofie studiano da secoli senza averci mai capito un cazzo: l'anima, quell'invisibile scalareale sulla quale bluffano i preti di mezzo mondo.

A parer mio l'anima parte con una dotazione di base immutabile, e questa contempla il tipo di alimentazione.
Se la tua anima per esistere ha il bisogno di dire balle, ti si prospetta una brillante carriera come CEO della Fiat.
Se ha la necessità di raccontare storie, scordati di avere una pensione.

Passerai ore chino seduto a un tavolo, mentre i tuoi amici imparano a suonare male il giro di Satisfaction e slinguano biondine ai falò di ferragosto. Passerai ore chino seduto a un tavolo mentre i tuoi nemici vanno a interminabili feste, dotate delle peggio bevande del mondo, per una volta aggratise. Passerai ore chino seduto a un tavolo mentre i governi passano, i figli crescono e le mamme imbiancano.

E la cosa incredibile è che continuerai a farlo.
Per giorni, mesi... per anni. Divorato dall'urgenza della pagina dopo, dalla frenesia del dialogo ritmato, dall'orgasmo della parola perfetta...
A sette anni come a quattordici. A dieci come a trenta.

C'è del romanticismo in tutto questo, e questo mitiga la sensazione di sentirsi -semplicemente- un disadattato.

Ma perché questo pippone che mezzo bastava?
Semplice.
Perché dopo anni di pagine scritte e disegnate, mesi di continue modifiche e correzioni, notti zeppe di salva con nome,  Radio Punx è in stampa e non vedo l'ora di avere tra le mani una delle quattrocento copie numerate.
Anche perché, come quand'ero piccolo, abbiamo fatto tutto da soli, io e Jean Claudio, Puri autoproduttori.
Dai testi, ai disegni, alla supervisione. Alcuni amici ci hanno aiutato, è vero, e questo rende tutto ancora più bello, più soddisfacente, più magico.
Mi metterei a piangere per la gioia. Ma poi mi toccherebbe vedermela coi cinici.
Se volete vedermi  commosso, passate alla SelfArea, a Lucca Comics & Game, stand 26.
Portate un fazzoletto.