26.10.10

Chine che vagano a Lucca Comics



l'Associazione Culturale Chine Vaganti partecipa a Lucca Comics con un suo stand (in coabitazione con gli amici dell'Associazione Culturale La Matita): vi aspettiamo in piazza Napoleone, Padiglione Editori, stand E145.

Per l'occasione presenteremo il nuovo numero di Macchie d'Inchiostro, raccolta delle storie che formano il film "Macchie", prodotto da Chine Vaganti per la regia di Christiano Pahler
E inoltre il quinto numero del mio amato Radio Punx e il primo di Resto Mancia.
Ci vediamo a Lucca.

5.10.10

Il mio nome in inglese non significa un cazzo (3 di 3)

Se sei così pigro da non avere voglia di cliccare quassù, ti faccio un riassunto. Eccolo:

Ci sono due tedesche in vacanza. Una delle due è uno stereotipo in carne e ossa.



Mi giro e mi rigiro nel letto. Queste sono le occasioni da cogliere al volo per non passare da coglione, dice il poeta. E poi mica Mario è un tuo VERO amico. Lo conosci appena, mi dico, quindici giorni d'estate e una mail durante l'anno non fanno un'amicizia.

Non riesco a dormire per tutta la notte.

Alle cinque mi alzo, che ormai di prendere sonno non se ne parla. Vado in spiaggia, a vedere l'alba. Divoro in pochi minuti il chilometro che separa la casa dalla sabbia. L'aria è fresca, il cielo scuro sfumato di ciano, il profumo della macchia mediterranea intenso e penetrante e balsamico e bellissimo e un branco di cani randagi mi sbarra la strada.


Ma merda.

Dicono che i cani possano sentire la tua paura. Se ti attaccano, devi evitare di cagarti sotto. Chissà se funziona anche al contrario... se pensi a una barzelletta, il cane la capta e ride? Per sicurezza, guardo i cani, li fisso intensamente e penso alla storiella del pinguino.

Non mi pare che ridano. Non l'avranno capita.

C'è di buono che non mi assalgono, e passo indenne il loro posto di blocco.

Grazie, pinguino.

La spiaggia è un lungo Sahara zampettato dai gabbiani. Mi arrampico su uno scoglio, e aspetto lì che il sole, pigro, esca dal mare, col sottofondo ritmico delle onde che si spaccano sotto di me. C'è un senso di pace, in tutta questa natura che fa niente di speciale, che mi riempie il petto e mi commuove.

In quella, qualcuno mi tocca la spalla.

Helga.

Non le chiedo cosa faccia qui, non le chiedo perché, non le chiedo come. Lei sorride, ha abbandonato quella sua espressione da professionista dell'insofferenza. Mi osserva.

“Tuo nome significa un cazzo.” Sguardo libidinoso da tedesca in vacanza.

Se lo racconto non mi credono.

2.10.10

Il mio nome in inglese non significa un cazzo (2 di 3)

Se te la sei persa, leggiti la PRIMA PARTE.

Se sei così pigro da non avere voglia di cliccare quassù, ti faccio un riassunto. Eccolo:

ci sono due tedesche in vacanza.


“Perché non ci insegnate qualche parola in italiano?”

La notte la passiamo sul bordo della piscina del residence. Ridiamo, parliamo e beviamo un alcolico molto blando, che l'alcolico pesante lo riserviamo al resto dell'anno.

Dio ci perdoni, l'italiano (soprattutto se postadolescente e in alcolico blando) insegna sempre le solite parole alle straniere, cioè le prime due volgarità a sfondo sessuale che gli vengono in mente. Loro chiedono la traduzione. Inga ride, Helga mi incenerisce con lo sguardo. Mi cago addosso, giuro.

Ecco chi mi ricorda, quella sua dolcezza ingombrante. Erwin Rommel. Anzi. Erwin Rommel incazzato.

Ve l'ho detto, mo cago addosso.

“Come vi chiamate di cognome?”

“Io mi chiamo Melis.”

“ It sounds like Malice. Malizia, in english.”

Risate.

“Io Frau. ” È Mario che parla. “Significa Donna in tedesco.”

“Siamo fatti così, noi sardi. I nostri cognomi hanno sempre un significato, in qualche altra lingua.”

Risate. Alcolico blando.

“E tu, cosa vuol dire il tuo cognome?” Inga, insinuante curiosona.

Ci penso su un attimo. Il mio cognome non significa nulla, porcoggiuda, almeno in quelle due lingue che conosco. Mi sento escluso.

“Il mio nome in inglese non significa un cazzo.”

Dico così.

Senza riflettere bene sulla forma della frase. Chissà cos'hanno capito, perché ridono, ridono, e ride anche Helga. Inga stringe le labbra in un sorriso lascivo. Rido anch'io.

Massì, chi se ne frega. Alcolico blando.

Un pomeriggio stiamo giocando a pallavolo nell'acqua bassa. Ogni pallone recuperato prima che tocchi il mare è un'ovazione di gioia, un urlo di trionfo, la risata libera di un gruppo di postadolescenti ancora lontani da affitti da pagare, licenziamenti in tronco, pillole del giorno dopo. In un maldestro tentativo di bagher nella zona coperta da me, Inga si tuffa all'indietro e urta le mie zone delicate con le sue terga. Da parte mia c'è un attimo di imbarazzo, mentre lei insiste nella posizione per un tempo maggiore del necessario. Poi esulta.

Ha salvato il pallone, che non ha toccato l'acqua. Mi guarda. Altro sorriso lubrico.

La notte che precede la loro partenza festeggiamo con una pizza. Attrezziamo il tavolo in una stanza vuota del residence, la tempestiamo di birre e tovagliolini. Gli addetti al ritiro della pizza siamo io e Mario. Quando arriviamo coi cartoni caldi in mano, gli altri hanno già preso posto. A me tocca quello vicino al capotavola, e capotavola c'è Inga. Dividiamo i cartoni con le pizze, io mi appresto a tagliare la mia gamberetti e rucola con un certo appetito. A un tratto, mentre sono lì che spicchio, sento qualcosa che mi tocca il piede. Sobbalzo. Mi giro verso Inga. Stampato sulla faccia ha la versione base dello sguardo equivoco. Mi guarda fisso negli occhi, sorride lasciando intravvedere un pezzetto di lingua.


Mario è dall'altra parte del tavolo, e la sua pseudoragazza mi sta facendo piedino.

Cazzo, penso.

Sono finito dentro lo stereotipo della tedesca troia.

In evidente stato confusionale lascio lì i gamberetti e la rucola, mi tengo lo stomaco.

Non sto bene, dico. Scusatemi, dico. Ci vediamo domattina in spiaggia, dico.

Inga è l'unica che non sembra dispiaciuta. Nemmeno mi guarda. Si è girata verso Mario. Gli avvicina alla bocca un trancio di pizza.

(continua)

29.9.10

Il mio nome in inglese non significa un cazzo (1 di 3)


Un racconto in 3 parti. Ecco la prima.

C'è qualcosa che io, Berlusconi e Flavio Briatore abbiamo in comune.
Tutti e tre facciamo le vacanze in Sardegna. Tralasciamo il fatto che io ci passi anche il resto dell'anno.

Tralasciamo.

Anni fa passavo le vacanze nel sud, coi miei. Mare azzurrissimo, sabbia bianca, folla solo nel fine settimana e a ferragosto. Con me un gruppo di “amici del mare” poco numeroso ma molto unito, rigidamente composto solo da maschi.
Le giornate erano scandite da una programmazione ferrea: spiaggia - megammeddu – spiaggia. La notte la passavamo nei locali di un residence poco lontano da casa, proprietà di un amico.

Nell'estate '99, al nostro scarno gruppetto monosessuale si unisce una coppia di ragazze tedesche. Chiamerò le due fräulein Helga e Inga. Helga ha il padre sardo ma non sa una parola d'italico idioma e per sopravvivere a quei quindici giorni coi suoi genitori si è portata un'amica. Inga, appunto. Entrambe bionde, occhi chiari, carnagione lattea, accento nazistoide. Helga ha l'aria perennemente infastidita di chi, piuttosto che in vacanza coi suoi, preferirebbe essere ancora a Berlino Est. Inga invece amoreggia felice con Mario, uno del nostro gruppo, anche lui figlio di sardi emigrati in tedeschia. Malgrado le difficoltà con la lingua (escluse quelle di Inga e Mario, naturalmente), riusciamo a capirci perfettamente e ricamiamo lunghi discorsi ripieni di nulla.
Da subito noto che a Inga sto particolarmente simpatico. Gli sguardi che mi dedica sono più profondi und maliziosi di quelli che riserva agli altri.

Sempre escluso Mario, eh.

In spiaggia siamo l'invidia porca degli altri scarni gruppetti monosessuali. Le due teutoniche si spalmano crema protezione ottomila prima di stendersi al sole ma si bruciano uguale, mentre noi, già neri come Mboma, continuiamo il nostro infinito mondiale di beach soccer.
Inga approfitta di ogni momento di assenza di Mario per chiedermi di spalmarle l'olio solare, farsi una nuotata con me, finirmi casualmente addosso mentre giochiamo a schiacciasette in acqua.
Approfitta di ogni presenza di Mario per sparire con lui sugli scogli e tornare, dopo mezza mattinata, con un gran sorrisone soddisfatto.
Helga non sembra apprezzare la leggerezza frivola dell'amica.

Lei preferirebbe stare ad Alexanderplatz a immaginare la vita oltre la cortina di ferro.

Si chiacchiera del più e del meno, come succede tutte le estati. Io dico che, prima di tornare a casa, voglio assolutamente vedere il sole sorgere sul mare. Svegliarsi alle 5 d'estate è pura utopia, ma sono determinato.
Helga si desta dal torpore, l'idea la stuzzica. Inga si spalma il Nivea.

(continua)

13.9.10

Moleskine



Sono passati mesi dall'ultima volta che ho scritto qua sopra.
MEMO: rimettere mano al blog.

Per oggi vi regalo una storia contenuta nell'ultimo numero di Resto Mancia, giornale delle "giovani leve" dell'Associazione culturale Chine Vaganti.
In quanto (co)fondatore del giornale, nell'ormai lontano 2002/2003, io e il sempre presemte Jean Claudio Vinci ci siamo riservati l'onore di comparire anche in questo albo.

Grazie alle giovani chine per avere ospitato dei vecchi chinoni.

suvvia, incauto utente web, clicca sull'immagine per vederla in tutto il suo splendore


14.3.10

Mr Tibya teatralmente vostri....


Uno spettacolo scritto da me e interpretato dai Mr Tibya.
Quindi anche da me.
Che figata, cess

25.2.10

THE MADE IN INDONESIA live


Si suona.
A Cagliari, al Linea Notturna.
Domani, 26 Febbraio.

Venite tutti, o voi che passate da qua. Sempre che non siate in Polinesia, of course.

17.2.10

La città sotto.

Sabato notte sono tornato da Lucca, dove per una settimana sono stato tra i protagonisti del workshow.
Di quella settimana mi rimarranno dentro molti frammenti.
Uno è qua sotto.

Clicca sull'immagine per ingrandire